Kollaps, Aufstieg

Pièce audiovisiva in tre atti per voce e partitura acustica

Audiovisuelles Stück in drei Akten für Stimme und akustische Partitur.
Videoinstallation von Francesco Fonassi, konzipiert als Reflexion über die menschliche Stimme und ihre Auswirkung in Raum/Zeit.
Ausgestellt im MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma, Dezember-Februar 2012/13

Esposizione con i vincitori della terza edizione di 6ARTISTA, a cura di Michele D’Aurizio. Francesco Fonassi presenta Kollaps, Aufstieg, una videoinstallazione concepita come una riflessione sulla voce umana e sui suoi effetti nello spazio/tempo.

Cara Letizia,
è arrivato il momento di iniziare a discutere delle possibilità di quella che sarà la nostra spedizione bosniaca. Ho cercato di mettere a fuoco la tua voce, il suo corpo, di comprendere cosa significhi entrare e percorrere un luogo antico e ancora reticente al mostrarsi. Quella che ti scrivo è solo l'inizio di una falsa epica, non resisterà alla terra nè alla pietra e nemmeno la vedremo nascere come compiuta nel presente. (Download PDF)

Caro Francesco

Ti mando il testo promesso, scritto nei tre aeroporti in cui ho passato la mattina del 6 ottobre, in viaggio per Firenze, mentre tu e i ragazzi già eravate di nuovo sottoterra, nei tunnel di Ravne. Appunti, più che riflessioni, da tre luoghi di transito: gli aeroporti di Sarajevo, Zagabria, Zurigo, luoghi neutri di decollo e atterraggio, di ascesa e discesa; usando le tue parole: Aufstieg e Kollaps (speriamo solo in senso lato). Luoghi di passaggio per persone in attesa in bolle di tempo che dentro e fuori scorre in un ritmo diverso per ognuno. Movimento – spazio – tempo, corpo – respiro – ritmo, respiro – suono – voce, inspiro – espiro – pausa – il tratto cede. Nel mio corpo, stanco dopo il lavoro dei giorni precedenti e la sveglia alle tre e mezzo di mattina, la menta giocava e associava sensazioni e parole, suggerendo che tutto era chiaro, giusto, coerente, che finalmente avrei capito cosa tiene insieme il mondo. Riconosciuto a mente fredda l’inganno, mi disciplino ora e metto ordine ai pensieri sparsi sui miei foglietti. Parliamo del respiro e dello spazio, come quando ci incontrammo per la prima volta a Roma:

Mettendoci in uno stato di raccoglimento possiamo percepire il movimento del respiro che non si limita ai polmoni, ma che pervade e coinvolge tutto il corpo, se questo glielo permette. L’inspiro apre il corpo che si dilata per accoglierlo, crea uno spazio percepibile. L’espiro, nato dalla percezione dello spazio, prende una direzione e diventa atto creativo se trasformato in suono (in verità prima ancora di essere articolato, essendo la sua potenzialità già viva prima ancora della fonazione). La pausa è il momento del nulla, un nulla però ricco, carico dell’attesa del nuovo impulso vitale.

L’inspiro nato nello spazio pelvico crea la percezione di un espiro ascendente, quello nato nello spazio del torace alto un espiro discendente. Inspiro ed espiro che si muovono in direzione verticale, un movimento percepibile singolarmente o contemporaneamente, che crea un flusso continuo dall’alto al basso e dal basso all’alto. Questo flusso, questa corrente di verticalità è attraversata e centrata dal respiro orizzontale percepibile se la nostra attenzione è rivolta al movimento laterale e sagittale dello spazio addominale che si allarga e si contrae.

Verticale e orizzontale, dentro e fuori, centro e direzione, spazio interno e spazio esterno. Le direzioni del respiro cercano un loro equilibrio, si penetrano, si incontrano, si scontrano pure, si intralciano, a volte si fondono fino a creare, centrandosi, un nucleo. In completo equilibrio le forze opposte sembrano annullarsi. In stati di profonda meditazione, quando il movimento del respiro si riduce a un semplice pulsare, queste forze in equilibrio creano uno spazio apparentemente immobile. Nessun movimento, nessuna direzione e perciò assenza di tempo, minuscolo nirvana, “instant illumination”: uno spiraglio sull’eternità. Un attimo dopo il disquilibrio ricrea il movimento, la polarità, il flusso potenzialmente continuo che, spesso invece a strappi e strattoni, è la nostra realtà.

Anche cantando questi attimi di completo equilibrio tra dentro e fuori, tra respiro e voce accadono e, nonostante abbia timore ad adoperare queste espressioni, sono attimi di riconciliazione con il mondo. Parliamo del respiro e della voce.

Il respiro che diventa voce mette in vibrazione tutto il corpo e lo spazio interno che a sua volta da forma al respiro e conferisce alla voce il suo timbro, il suo colore, anche la sua qualità emotiva, implicita o esplicita che sia. Cantando lo spazio interno vibrante entra in risonanza con lo spazio esterno. Un interlocutore mi sentirà perché il suo stesso corpo, toccato dal mio suono, comincerà a vibrare.

Nel nostro caso mi proponesti di entrare in contatto non con una persona ma con uno spazio, anzi con quattro spazi: la camera semianecoica e la camera riverberante nella fabbrica ad Ancona, i tunnel di Ravne e la cima della Piramide del Sole a Visoko. Mappatura dello spazio, la chiamavi.

La camera semianecoica, in cui cominciammo il lavoro, era angusta e avara di risposta. Reagisco con un battito cardiaco accelerato; il respiro si appiattisce, si rinchiude nell’involucro del corpo e riprende consistenza solo quando si ricorda che può riconquistare lo spazio negatogli, ridotto ma non annientato dalla restrizione imposta, e può restare incolume seguendo i limiti che separano dentro e fuori. La voce è piccola ma presente; riaffiora la consapevolezza di un Sé inespugnabile. Respiro e voce creano un vibrante e trasparente schermo protettivo e scandiscono in un ritmo continuo la mia identità. Ed ecco che la voce si accende, si rivolge alla superficie delle pareti – piccoli fori che la risucchiano – ma lei insiste, si accontenta del poco riscontro, riafferma il proprio territorio, lo fa suo, compone e scompone le parole convenute: ascent, collaps, shift, falling, traces, desert, le trait cède.

Ritrovammo l’angustia nei tunnel di Ravne, angustia intrisa di umidità, labirinto pericolante, le pareti bitorzolute che si sgretolavano se inavvertitamente le urtavi. La voce descrive il percorso da un tunnel all’altro come mani tese al buio. Voce che tasta, tocca, sfiora il conglomerato roccioso, si avvicina e si allontana, aggredisce pur di superare la propria ansia, si nasconde; riveste le superfici di una pellicola sonora per appropriarsene, tesse dei filamenti come il micelio bianco sulle travi di sostegno dei tunnel; diventa natura organica, si riprende il suo spazio lì dove l’intervento umano l’ha temporaneamente disturbato.
Per quanto effimera, lascia la sua traccia; il suo alito, tiepido e umido, si mischia alle emanazioni della roccia, contribuisce alla nascita di nuovi organismi – un succedersi di microscopici atti creativi.

E ancora voce che consola, che assicura che ci sei, che aiuta a sopportare la solitudine, la paura, melodie che affiorano come ninna nanne a esorcizzare gli eccessi di fantasia che evocano allucinazioni di luce e di suoni.

Che contrasto dalla camera riverberante: il minimo suono amplificato, presente anche dopo l’inizio del suono successivo, sensazione di spazio infinito, inventiva a briglie sciolte, sentimento di onnipotenza, vanità anche, hybris. La tua sobria intimazione dopo un’ora di improvvisazione libera: “Fammi due pagine di asticelle, un suono in crescendo, uno in diminuendo, cose così.”

La piramide, la collina di Visoko, meta di famiglie per il picnic festivo e di seguaci di dubbia, polimorfica dottrina esoterica; il nostro spazio esterno definito dai cinque microfoni piazzati in un pentagono non voluto: La voce si perde, diventa fiato, soffio, affanno, sgomento davanti alla mancanza di limiti, sospiro. La forza che l’ha portata alla luce del sole si è estinta, confrontata con la realtà della vita in superficie ansima e si spegne. Immaginavi un sacrificio sonoro. Nonostante il mio scetticismo (quale cantante accetta deliberatamente di sacrificare la propria voce) è successo. Il mio corpo, scosso dall’energia scaturita dalle improvvisazioni, provato dai viaggi, dal freddo e dall’umidità, ha realmente ceduto, lasciandomi però ricca di sensazioni e felice. Grazie Francesco. Ciao.

Uster, Zurigo: 24 ottobre 2012

Aus: Kollaps Aufstieg, Francesco Fonassi, Katalog zur Ausstellung im MACRO, Rom